Joseph Louis Barrow, alias Joe, Black Bomber o “The People’s Champ”. Tutti “sinonimi” di Campione del Popolo. Tanti modi per chiamare uno dei più grandi pugili di tutti i tempi, miglior peso massimo di ogni epoca secondo la International Boxing Research Organization, primo afroamericano ad aver ottenuto lo status di eroe nazionale, punto di riferimento del sentimento anti-nazista che condusse alla Seconda Guerra Mondiale. Onestà sul ring e fuori dal ring, di lui si sono raccontate storie affascinanti, lui che la storia l’ha scritta a suon di pugni: aspetto placido che nascondeva possenza, tecnica, velocità e forza allo stato puro.
La boxe di Joseph Louis Barrow risiedeva in quell’attacco che non lasciava scampo alle difese avversarie, un incedere di macigno, un modo di combattere talentuoso senza precedenti, in un’epoca in cui, tra l’altro, il colore scuro della pelle rappresentava un ostacolo. Joe fu Campione del Mondo per quasi 12 anni, un titolo difeso strenuamente dal 1937 al 1949, con 27 match vinti in quell’anno, un record rimasto ad oggi imbattuto nella sua categoria. Ma la sua partita più importante è stata forse quella per l’integrazione, per rompere quelle barriere razziali nello sport di un’America che non era ancora pronta ad andare così avanti.
Una carriera iniziata fin da giovanissimo, quando a soli 17 anni boxava per restar lontano dalla strada, nascondendo i guantoni nella custodia del violino, per non far sapere a sua madre che la sua passione per il ring era più grande di quella per la musica. Il periodo “dilettantistico” si chiuse per lui nel 1934, con risultati eccezionali: 50 vittorie, 43 per KO e solo 4 sconfitte.
Da quel momento una scalata senza precedenti e tanti campioni battuti nel fatidico quadrato: Primo Carnera, Jack Sharkey, James J. Braddock, Max Baer, Jersey Joe Walcott e Max Schmeling. Con quest’ultimo, un match memorabile, il 22 giugno del 1938, allo Yankee Stadium di New York, scontro simbolico tra gli USA da un lato e la Germania dall’altro, preludio di ciò che sarebbe avvenuto di lì a poco con esiti ben più sanguinosi.
Mesi di martellante propaganda da parte delle due Nazioni, fino ad arrivare al giorno dell’incontro, scontro tra due culture, due visioni politiche, due ideologie. Ma quello che fu chiamato il match del secolo ebbe presto il suo esito. Max Schmeling, l’Ulano nero del Reno, come era anche chiamato, Campione dei pesi massimi nel 1930, subì la sua più pesante sconfitta. Il match durò poco più di due minuti, travolto dalla massacrante potenza di Black Bomber, che mise il tedesco “ariano” al tappeto con un sonoro KO. Schmeling fu trasportato in ospedale con costole incrinate e successivamente fu scaricato dal Regime che lo aveva tanto acclamato.
Eppure, come per i più famosi pugili del cinema, Rocky e Apollo Creed, Joe e Max da allora divennero grandi amici, un rapporto che durò per tutta la vita. La grande battaglia tra America e Europa, tra bianco e nero, tra nazismo e cultura del diritto, che aveva lasciato e avrebbe continuato a lasciare strascichi su altri campi, si concluse in quel match del 1938, con un grande spettacolo sportivo e un esempio vincente di amicizia, oltre che di umanità da parte di un campione assoluto. Perché lo sport è soprattutto questo.