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Lo sport femminile mostra gli artigli. Jean Freeman ci parla del progetto Pink Claw

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a cura di Alessandra Savino Lo sport si tinge di rosa. Una sfumatura cromatica che vuole essere metafora del superamento del divario di genere nell’attività fisica. Stando a quanto dichiara l’OMS, pare che l’inattività fisica sia un problema fisico in preoccupante crescita che si punta a ridurre del 10% entro il 2025 e sembra che sia proprio il mondo femminile ad essere meno avvezzo a praticare sport. Lo dimostrano alcune ricerche che hanno messo in evidenza come bambine fra i 3 e gli 11 anni provano meno piacere nell’essere fisicamente attive, in fase di crescita, rispetto ai loro coetanei maschi. Inoltre, l’Eurobarometro ha rilevato, nel 2019, che il 44% degli uomini pratica regolarmente sport, rispetto al 36% delle donne.

A sanare questo divario ci pensa Pink Claw, un progetto nato con l’obiettivo di offrire un’attività outdoor multidisciplinare destinata unicamente alle donne. Un percorso che unisce pratiche fisiche e mentali e in cui le partecipanti, di età compresa tra 18 e 35, che non praticano esercizio fisico da almeno 2 anni, sono guidate da allenatrici. Avere una coach donna consente, infatti, loro di identificarsi in un modello di riferimento acquisendo maggiore sicurezza, fiducia nelle proprie capacità e senso di appartenenza. Il primo anno vede la partecipazione di 120 donne che nel secondo aumentano a 240, per un totale di 360.

Impegnate in diverse discipline, dall’ Obstacle Course Racing, al Tactical fitness, al Bush Crush/Team Building, passando per lo Yoga Mindfulness, l’autodifesa, fino al Primo Soccorso, le partecipanti diventano, inoltre, protagoniste di un percorso relazionale. Scopo del progetto è, dunque, anche quello di garantire rapporti costruttivi tra le donne coinvolte in Pink Claw, aspetto indispensabile per avvicinare e far appassionare, soprattutto le più giovani, allo sport. Sono proprio queste ultime a dover essere maggiormente spronate dal momento che è stato rilevato che con l’avanzare dell’età, il divario di genere nella pratica di attività fisica si riduce.

Tuttavia, questo non è l’unico obiettivo che Pink Claw persegue. Tra le priorità vi è anche quella di promuovere uno stile di vita sano che garantisca alle donne che praticano sport il raggiungimento di un benessere, sia fisico che mentale. Senza dimenticare, poi, che tutto questo corre verso una sola direzione: quella che porta ad una ‘graffiante’ emancipazione femminile.

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Intervista al Direttore Tecnico Nazionale ENDAS – JEAN FREEMAN

Perché è importante un progetto come quello del Pink Claw?
Partiamo da un concetto fondamentale: abbiamo voluto realizzare un progetto con uno scopo ben definito, che fosse duraturo e che avesse tutte le caratteristiche di un servizio utile alla comunità. In particolare, parliamo di un’idea nata esclusivamente per le donne, con l’obiettivo di promuovere lo sport in modo sano e utile, sia a livello fisico che mentale.Un progetto come il Pink Claw è fondamentale, perché mira a rendere le donne fisicamente forti e dinamiche nelle azioni quotidiane, aumentando la consapevolezza delle proprie capacità. Questo non significa voler trasformare le donne in uomini, poiché la bellezza della donna risiede nella sua unicità. Sarà la donna stessa a determinare il proprio ruolo nella società in base alle sue competenze e al proprio bagaglio culturale. Pink Claw nasce, dunque, per essere una componente aggiuntiva di quelle competenze che possono aiutare una donna a fare la differenza.

In qualità di direttore tecnico nazionale Endas, in cosa si sta concentrando principalmente la sua attività?
Il mio ruolo in Endas Italia consiste principalmente nella promozione dello sport in modo sano e sostenibile. Negli anni, ho lavorato intensamente per diffondere il concetto di Promozione Sportiva, organizzando attività fisico-sportive con finalità ludiche, ricreative e formative. Questa posizione mi ha permesso di coordinare eventi sportivi multidisciplinari su tutto il territorio nazionale.

Quali sono gli altri progetti su cui avete lavorato?
Per il secondo anno consecutivo, in collaborazione con la Marina Militare Italiana, in particolare con il reparto speciale del COMSUBIN, abbiamo organizzato, a ottobre a Portovenere, in Liguria, la Navy Caiman Race e la Navy Caiman Kids. Queste competizioni, conosciute come OCR (Obstacle Course Race), consistono nel superamento di ostacoli artificiali e naturali. Il percorso si è sviluppato in parte in area urbana e in parte in area boschiva, con ostacoli simili a quelli utilizzati dai militari nei campi di addestramento. I partecipanti hanno dovuto affrontare e superare questi ostacoli mettendo alla prova la loro forza, preparazione atletica e tecnica. Oltre a questo evento, che consideriamo quello di punta del nostro Ente di Promozione Sportiva (EPS) affiliato al CONI, abbiamo altri progetti già consolidati su cui puntiamo molto. Tra questi, ci sono le Guerriere Amazzoni-Tactical Pentathlon Games e il Mercenary Camp Endurance. Inoltre, stiamo lavorando con il nostro team di tecnici nazionali per organizzare un campionato nazionale di arrampicata sportiva per bambini.

Una vera cultura dello sport di cosa necessita oggi veramente?
Affermare che la mancanza di sport nelle scuole sia il problema primario sarebbe riduttivo e superficiale. Spesso si cita l’esempio delle scuole americane, dove gli studenti hanno a disposizione un’ampia gamma di discipline sportive tra cui scegliere. In Italia, invece, l’offerta è limitata principalmente a basket e pallavolo, due sport che personalmente apprezzo molto, ma che molti ragazzi praticano controvoglia per mancanza di alternative.
Vorrei però sottolineare un altro aspetto importante: una vera cultura sportiva richiede l’impegno dei genitori nel coinvolgere i propri figli nelle attività sportive. Oggi, in alcuni casi, manca la volontà dei genitori di incentivare i propri figli a praticare sport. Purtroppo, molte famiglie non possono permettersi questo impegno per motivi economici, e qui risiede uno dei punti fondamentali del problema: il costo dello sport rende difficile l’accesso per tutti.

Di cosa abbiamo bisogno oggi a livello culturale?
Di una vera rivoluzione sportiva. Una rivoluzione che porti lo sport nelle case, nelle scuole ma soprattutto nella mentalità di tutti. E che sia una rivoluzione accessibile, inclusiva, pianificata e partecipata.