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Allenarsi per emozionarsi. Intervista a Carmen De Gironimo

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Intervista a Carmen De Gironimo

a cura di Alessandra Savino

Allenarsi per sentire e riconoscere un’emozione è, al giorno d’oggi, fondamentale in ambito sportivo e non. Ma esiste una figura, un professionista, in grado di seguirci in questi allenamenti ricoprendo il ruolo di coach? Domanda che trova una risposta nella definizione di Emotional Coach data da Carmen De Gironimo in merito alla propria mission. Nata a Francavilla Fontana e cresciuta in Lombardia, la De Gironimo, partendo dal mondo del Mental Coaching, sta scrivendo, negli ultimi anni, pagine interessanti per la storia dell’ Emotional Coaching. È Fondatrice di Emotional & More, associazione di cui è presidente, e a lei va il merito di aver portato in Senato la sua campagna di sensibilizzazione contro bullismo e violenza “Basta Bullo Io Ballo – Lo sport cura, la violenza oscura”. Motivare è la sua vocazione e attraverso specifiche tecniche aiuta spesso atleti e squadre a raggiungere traguardi importanti, prima della vita di tutti i giorni, e poi in campo.

Mental and emotional Coach: parlaci del tuo lavoro e com’è nata questa passione?
Più che mental coach, io mi definisco completamente, totalmente, o meglio puramente, Emotional Coach.
È chiaro che il mio lavoro nasce da una formazione di Mental Coach, ovvero da uno studio di tutte quelle tecniche mentali, di cui oggi è molto più frequente e usuale sentir parlare, che servono, non solo ad un atleta ma a chiunque, per un approccio migliore alla vita. Io, però, ho sempre avuto questa passione innata, fin da piccola, nell’ automotivarmi e motivare gli altri, non tanto in termini mentali, ma partendo da qualcosa che all’epoca non ero in grado di riconoscere. Poi, col tempo, ho capito che quel qualcosa erano le emozioni. A quel punto ho voluto approfondire questa mia formazione da moderatrice, da teatro terapista, da yoga terapist, partendo per l’India dove, per un anno, ho studiato tutto ciò che è un’intelligenza emozionale, un’intelligenza emotiva diversa da come la studiamo in occidente. Sono andata a fondo di cosa si sente, si percepisce dinanzi anche a degli squilibri fisici o mentali. Quindi, da lì, dalla domanda <che cosa provi e che cosa senti?>, nasce la mia passione per lo studio emozionale che mi ha portato a diventare una Emotional Coach.

Libertà di essere, libertà di fallire, libertà di trovare la propria via,libertà di vincere, libertà di perdere, libertà di piangere, libertà di gioire, libertà di incavolarsi, libertà di perdonare, libertà di perdonarsi”. E’ una tua affermazione. Cos’è la libertà per Carmen De Gironimo?
È difficile dare una spiegazione e descrivere una parola così importante come ‘libertà’. Quello che posso dire è che per me libertà è poter respirare senza quel peso che ostruisce il diaframma, la gola, i polmoni. Quel peso fatto da giudizi e pregiudizi, sia nei confronti di sé stessi che nei confronti degli altri.

Parlaci dell’associazione Emotional & More, di cui sei Presidente…
L’associazione Emotional & More è mia figlia, mi piace definirla così, ma figlia anche della vicepresidente Maria de Caroli. È chiaro che la parola ‘emotional’ è più legata a me perché nasco come Emotional Coach ma, poi, con la vicepresidente abbiamo creato un’associazione in cui si promuove l’arte della gentilezza, della consapevolezza e delle emozioni. Cito le emozioni per ultime perché è la consapevolezza che porta a capire che stiamo provando un’emozione. Tante volte, ad esempio, non riconosciamo l’ira come emozione, o meglio la rabbia che si trasforma in ira se non gestita, oppure la tristezza che può diventare depressione se non gestita. L’associazione di cui sono presidente è un’associazione in cui, attraverso eventi, format, manifestazioni, televisioni, scritture, articoli e tantissime cose inclusive, molto aggreganti, vogliamo portare una sensibilizzazione a tutti, a vittime e carnefici, e a chi sta loro intorno, a non essere indifferenti alla violenza e ad argomenti delicati e scabrosi come il bullismo e i disagi emozionali di vario genere. E lo facciamo principalmente attraverso teatro, cultura e sport. Siamo aperti a tutti gli sport, in particolare, al calcio e alla danza. Intendo dire che, attraverso eventi e convegni o presentazioni di libri o con campagne contro la violenza, usiamo lo sport come grande cassa di risonanza per cercare di svegliare gli animi da un’indifferenza che, a volte, fa più male di una violenza stessa.
Questo è Emotional & More.

Come crede che il coaching mentale ed emotivo possa influenzare la performance degli atleti in situazioni di alta pressione?
In qualità di Emotional Coach ho creato un metodo all’interno del quale si va a lavorare sulla consapevolezza di se stessi, delle proprie emozioni, del cosa sento prima ancora del cosa devo fare per la società, per qualcuno che me lo richiede o per la famiglia. L’emotional coaching è molto importante poiché pone all’atleta una domanda che difficilmente l’essere umano – perché ricordiamoci che un atleta prima di tutte è un essere umano – si porrebbe poiché nessuno ce l’ha insegnato da piccoli. Di conseguenza se come atleta non do il massimo della prestazione, è importante fermarsi e capire l’origine di questa situazione. È possibile, infatti, che questa sia dovuta ad un blocco emozionale ovvero ad un’emozione che l’atleta non riesce a riconoscere, rendendolo poco concentrato e poco performante. E, se l’atleta non è concentrato, la prestazione sportiva non renderà al massimo e, nei casi più importanti potrebbero esserci atleti famosi o esplulsi. Infatti, se uno stress diventa rabbia che, a sua volta, si trasforma in ira se non gestita, un atleta può diventare un problema tanto da non riuscire neppure ad empatizzare con la squadra. Viceversa, se questa rabbia viene riconosciuta, capita e gestita bene, può diventare adrenalina per andare a goal.

Può condividere un caso di studio o un esempio pratico in cui il mental ed emotional coaching ha avuto un impatto significativo sul miglioramento delle prestazioni di un atleta o di una squadra?
Mi viene subito in mente l’esempio del penultimo campionato europeo. L’Italia è stato campione e, io penso, che lì, ogni tecnica di emotional coaching abbia funzionato alla grande. Questo perché la squadra rispondeva a quelle dinamiche che, nelle tecniche di emotional coaching, servono a tirar fuori concetti quali empatia, aggregazione, gestualità solidale. L’Italia agli Europei 2020 non era considerata su carta la vincitrice o la più forte ma, sicuramente, ha vinto perché tutte queste cose funzionavano: c’era unione, empatia, aggregazione, squadra, c’era un capirsi e sentirsi. L’emotional coaching fa questo. Se vogliamo entrare nello specifico di un mio esempio personale, c’è stato un ragazzo che, pur essendo molto talentuoso si bloccava e tremava dinanzi ad una gara. Abbiamo utilizzato due tecniche in parallelo, una di concentrazione e poi quella di visualizzazione. È emerso che il ragazzo aveva una paura di farsi male, una piccola ipocondria che non lasciava spazio alla concentrazione e, con queste tecniche, è andata molto meglio. Le tecniche di emotional coaching lavorano affinché si tirino fuori le proprie emozioni e si abbia consapevolezza di queste ultime per poi far sì che queste siano uno strumento di miglioramento personale e prestazionale.

Quali strategie suggerisce per integrare efficacemente il coaching mentale ed emotivo nei programmi di allenamento quotidiano degli atleti?
Faccio una premessa: è sempre molto difficile stabilire una strategia quando parliamo di emozioni. Quindi quello che suggerisco sempre alle squadre è di lasciare uno spazio, all’interno dei vari allenamenti, per fare una sorta di autoscanner di sé stessi, sul proprio corpo, sulla mente e sulle proprie emozioni, perché solo così si può davvero dare il massimo nelle prestazioni. Quando ogni atleta ha la piena consapevolezza di se stesso, allora da lì può partire per risolvere una problematica, per capire quali sono i propri punti di forza e di debolezza, andare a giocare su quelli e, quindi poi essere completamente al massimo della propria prestazione e, magari, puntare alla vittoria o comunque essere un valore aggiunto per la squadra.

È docente per Sport Business Academy: cosa trasmette principalmente ai suoi allievi in aula?
Anche qui vorrei fare una piccola premessa: i miei allievi non sono mai solo allievi perché sono sempre io ad imparare da loro in ogni incontro, ad ogni lezione. Detto ciò, quello che in primis trasmetto è che non esiste l’atleta se prima non lasciamo esistere l’uomo, che non è importante il trofeo della vittoria in campo quanto il trofeo dell’essere una persona che sta bene con se stessa: questo è il primo messaggio che mi impegno, ogni giorno, a trasmettere alle persone e lo faccio portando in ogni lezione, in ogni incontro, come argomenti anche le campagne di cui sono autrice.

La formazione scolastica affronta il tema delle emozioni?
In Sport Business Academy lo stiamo affrontando.
Dal mio punto di vista si dovrebbe affrontare, o meglio, mi piacerebbe tanto si affrontasse questo tema all’interno di tutti gli istituti di formazione. Anche se devo dire che ci sono alcune scuole che stanno iniziando a dare importanza a questo. La Montessori è quella che ha iniziato a lasciare libero il bambino di vivere le proprie emozioni e non di renderle degli schemi che poi ci riportiamo da adulti.
Mi piacerebbe tantissimo che in tutte le scuole ci fossero, almeno un paio di volte a settimana, delle lezioni in cui la classe rimane con sé stessa: via i libri, via tutto per raccontarsi, raccontare cosa si prova davanti ad una lezione. Una condivisione di emozioni, questo sarebbe un sogno bellissimo, dal mio punto di vista. Io comunque sono molto fiduciosa e probabilmente più avanti se ne parlerà un po’ di più.

Qual è il ruolo delle emozioni in una società come quella in cui viviamo?
Basilare, fondamentale. Le emozioni sono le colonne portanti della nostra vita, senza le quali la casa, ovvero noi, cadremmo in mille pezzi. Le emozioni hanno un ruolo fondamentale per stare bene con se stessi, per essere empatici, solidali, per non essere violenti, quindi essere uniti, aggreganti, inclusivi, riuscire a fare un lavoro di squadra, vincere, imparare, trasmettere, respirare. Per ogni singolo respiro le nostre emozioni sono basilari.

Il respiro. Potente strumento per…?
Il respiro è alla base della nostra vita. Non viviamo se non respiriamo, non possiamo parlare bene se non respiriamo. Non possiamo calmarci dinanzi ad uno stress eccessivo se non impariamo a respirare bene. In Oriente ci sono studi di 400 ore relative al respiro: esistono tecniche di respirazione per sconfiggere o calmare l’ansia, rallentare il battito cardiaco, per alleviare dolori come il mal di testa, per sopportare delle situazioni difficili ma, soprattutto, per ossigenare il sangue, le vene, gli organi e tutto ciò che ci permette di vivere. Quindi questo è uno strumento per arrivare a qualsiasi vittoria vogliamo nella vita, che sia quella di mantenere la calma, dell’essere consapevoli di chi siamo e di chi abbiamo di fronte ma anche per vincere un trofeo da campione del mondo. È indispensabile anche per amare, perché l’amore richiede di respirare, così come per calmare uno stato d’animo che ci farebbe abbandonare quando invece vale la pena respirare per restare. Quindi il respiro è uno strumento per la vita.