Quando hai di fronte un mito del calcio, una leggenda vivente che ha scritto pagine stupende sul rettangolo verde di un periodo in cui il bel gioco regalava emozioni uniche,
un’icona della difesa di uno dei club più prestigiosi al mondo, sì, quando hai l’opportunità di “chiacchierare” con Filippo Galli, comprendi che i “veri miti” sono quelli che ti mettono a tuo agio, che con grande umiltà e naturalezza ti raccontano dei loro successi, enfatizzandone soprattutto la parte umana, sfogliando quell’almanacco, come si fa con
i ricordi di famiglia più belli.
Raccontare Filippo Galli in pochi righi è praticamente impossibile. Ripercorrere tutte le sue gesta è tanto affascinante quanto complesso, non foss’altro perchè una carriera così lunga e ricca di traguardi prestigiosi necessiterebbe di più tempo, di più spazio.
Eppure non possiamo non ricordare la sua eleganza difensiva e l’intelligenza tattica dimostrate negli anni ‘80 e ‘90. Non solo un difensore, ma una vera e propria fortezza,
un muro invalicabile che ha contribuito a forgiare l’era d’oro dei rossoneri.
Con il suo sguardo acuto, Galli ha interagito con i compagni nella retroguardia del Milan con una calma glaciale, anticipando le mosse degli avversari con la precisione
di uno scacchista. Ogni suo intervento era una lezione di tempismo, ogni tackle una dimostrazione di potenza controllata. Le sue azioni più memorabili si intrecciano
con le notti magiche della Coppa dei Campioni, dove la sua abnegazione e la sua determinazione hanno spesso fatto la differenza.
La sua carriera è un poema epico scritto sul campo di gioco, fatto di successi indimenticabili. Galli non ha solo difeso una porta, ha difeso un’idea di sport, quella del bel
gioco e della disciplina, diventando una leggenda vivente del calcio italiano.
La sua intelligenza tattica, l’affidabilità e la capacità di leadership in difesa, ne hanno fatto un calciatore rispettato dai compagni e dagli avversari per la sua estrema correttezza fuori e dentro il campo. La sua è stata una carriera esemplare, costruita su dedizione, professionalità e un grande senso del gioco di squadra, lasciando un’eredità
duratura nel calcio italiano, un’impronta significativa nella storia del Milan e dello Sport in genere.
Quattordici stagioni in maglia rossonera, 4 gol segnati, di cui 3 in campionato e una in Coppa Italia, cinque campionati vinti, tre Coppe dei Campioni, due Coppe Intercontinentali, tre Supercoppe europee, quattro Supercoppe italiane. Sono questi i numeri che raccontano i traguardi e la grandezza di un atleta che ha scritto pagine
importantissime del calcio. Dopo il ritiro dall’attività, Galli ha iniziato la carriera di allenatore, prima nella primavera del Milan, due anni da vice e due da Head coach e poi come collaboratore tecnico della prima squadra, al fianco di Carlo Ancelotti e Mauro
Tassotti.
Nel 2009 gli viene affidato l’incarico di direttore del settore giovanile, collezionando una serie di traguardi, e nel 2012 consegue la qualifica da direttore sportivo a Coverciano. Nel 2018 termina il suo percorso al Milan e nel 2019 entra al Settore Tecnico della FIGC e al Settore Giovanile e Scolastico, con un ruolo legato allo sviluppo del calcio giovanile in Italia. Nel 2021 assume il suo ruolo di responsabile dell’area metodologica del club con
particolare riferimento al Settore Giovanile.
Oltre alle attività suddette, lavora come commentatore televisivo ed opinionista presso Sky e Mediaset, proseguendo la sua attività di docente all’interno di scuole ed enti di formazione come la Sport Business Academy, dove si occupa di Metodologia dell’allenamento, teorie sul talento e dell’apprendimento, nonché di tematiche
organizzative e di management.
Se gli si chiede se è più difficile giocare a calcio o trasmetterlo, lui non ha dubbi: è più difficile trasmetterlo o meglio, condividerlo! Sì, perché da uomo attento alle parole, Filippo Galli sa che riportare ai giovani talenti come si gioca significa innanzitutto mettere a disposizione di chi non ha ancora esperienza, quel bagaglio di conoscenze e
insegnamenti che solo chi, anche se non necessariamente, ha già calcato quelle strade può fare. Dopo il ritiro dall’attività, Galli ha iniziato la carriera di allenatore, prima nella primavera del Milan, due anni da vice e due da Head coach e poi come collaboratore tecnico della prima squadra, al fianco di Carlo Ancelotti e Mauro Tassotti.
Nel 2009 gli viene affidato l’incarico di direttore del settore giovanile, collezionando una serie di traguardi, e nel 2012 consegue la qualifica da direttore sportivo a
Coverciano. Nel 2018 termina il suo percorso al Milan e nel 2019 entra al Settore Tecnico della FIGC e al Settore Giovanile e Scolastico, con un ruolo legato allo sviluppo
del calcio giovanile in Italia. Nel 2021 assume il suo ruolo di responsabile dell’area metodologica del club con particolare riferimento al Settore Giovanile.
Oltre alle attività suddette, lavora come commentatore televisivo ed opinionista presso Sky e Mediaset, proseguendo la sua attività di docente all’interno di scuole
ed enti di formazione come la Sport Business Academy, dove si occupa di Metodologia dell’allenamento, teorie sul talento e dell’apprendimento, nonché di tematiche
organizzative e di management.
Se gli si chiede se è più difficile giocare a calcio o trasmetterlo, lui non ha dubbi: è più difficile trasmetterlo o meglio, condividerlo! Sì, perché da uomo attento alle parole, Filippo Galli sa che riportare ai giovani talenti come si gioca significa innanzitutto mettere a disposizione di chi non ha ancora esperienza, quel bagaglio di conoscenze e insegnamenti che solo chi, anche se non necessariamente, ha già calcato quelle strade può fare.
Dal campo alla panchina alla cattedra. In che ruolo ti senti più a tuo agio?
Oggi mi sento molto a mio agio nel ruolo di docente…e anche di editore. Mi piace condividere con i ragazzi le conoscenze, le competenze, non solo attraverso le lezioni in aula ma anche attraverso il mio blog “La complessità del calcio”. La parentesi manageriale
all’interno dei club per il momento è chiusa, ma spero possa riaprirsi al più presto.
Cosa significa oggi avere talento nel calcio?
Il talento si coniuga attraverso diverse voci: il talento è la capacità di sorprendere, di fare qualcosa che nessuno si aspetta all’interno del rettangolo di gioco, ma è anche la determinazione, la continuità, il lavoro quotidiano. Il solo talento non basta: occorre lavorare e lavorare con costanza. Il talento è sì genetica, ma poi accanto a questa è importante considerare tutta quella serie di persone che ruotano attorno all’atleta: la famiglia, gli amici, il team, che svolgono un ruolo importante nella costruzione e nel consolidamento di quel talento. Immagini di dover comporre il calciatore perfetto
per lei e di prendere le caratteristiche di tanti giocatori differenti… Il giocatore perfetto non esiste. Forse Messi si avvicina molto alla concezione di calciatore perfetto, proprio perché somma in sé una serie di caratteristiche tecniche, tattiche e quindi di scelta nonché atletiche e poi di talento ma anche di costanza e di attitudine. Molto dipende anche dal contesto in cui si gioca, dalle richieste dell’allenatore, però è indubbio che
quello che a me piace vedere in un giocatore è la capacità di gestire il pallone, il contatto “giocatore-palla”, la capacità di comprendere i principi regolatori del gioco che sono spazio e tempo: farsi trovare nel posto giusto al momento giusto per un giocatore è fondamentale.
Il giocatore più forte con e contro il quale ha giocato?
Ho giocato contro tanti calciatori forti ma senza dubbio il più forte, il più grande di tutti è Maradona. Maradona è il calcio! Tra i compagni di squadra direi Baresi, Van Basten, Ancelotti, Maldini, tutti giocatori validissimi e persone straordinarie.
Il gol che ricordi con maggiore entusiasmo, la vittoria più bella e la sconfitta più dura, la partita più emozionante…
Per quel che riguarda il gol, dato il mio ruolo in difesa, non ne ho segnati tanti, ma certamente ricordo il primo gol fatto, segnato a San Siro contro l’Avellino. Per quel che riguarda la sconfitta, quella che ha fatto più male è stata la finale di Coppa Italia contro la Juventus: pareggiammo zero a zero a Torino e poi perdemmo in casa a San Siro. Tra l’altro la Coppa Italia è l’unico trofeo che manca nella mia bacheca personale.
Invece le vittorie sono tante da ricordare, ma forse quella che ricordo con grande commozione è il primo scudetto, vinto con Arrigo Sacchi nella stagione ‘87- ‘88. La partita più emozionante della mia carriera è la finale ad Atene nel 1994, quando vincemmo 4 a zero contro una squadra che era tra le preferite. Ribadisco l’importanza di un concetto espresso dal tecnico Marcelo Biela: “ Non si vive celebrando le vittorie ma superando le sconfitte”.
Quali sono gli insegnamenti più importanti che trasmette ai suoi allievi nella sua attività di docente?
Cerco di condividere con loro quella che è stata la mia esperienza, cercando di far capire loro che il calcio è un fenomeno sociale importante, che coinvolge non solo l’atleta ma tutte le persone che gli stanno intorno, in una visione sistemica e olistica del calcio.
Filippo Galli è anche autore del libro “Il mio calcio eretico”, un volume in cui l’ex difensore racconta in maniera anche provocatoria un calcio “diverso”, fervente sostenitore del fatto che la competenza non sia qualcosa di cristallizzato: “è importante continuare ad apprendere, conoscere e approfondire, soprattutto in questo settore. E in alcuni casi ci si può anche accorgere che molte teorie possono essere disattese in favore di altre ancora poco battute, come accade per le teorie dell’apprendimento. Non si può continuare a seguire l’assioma, ormai anacronistico a mio avviso, “nel calcio si è sempre fatto così” e nel libro voglio comunicare la necessità di smontare questo dogma e andare controtendenza”.
Ed è assecondando questo approccio in controtendenza, che Filippo Galli ci parla di una interessante e rivoluzionaria teoria in merito alla preparazione degli atleti: “la preparazione di un calciatore non può essere relegata e ridotta a un mero fatto prestazionale, in particolar modo una prestazione atletica, come spesso viene ricondotta in modo errato. Accanto ai fattori tecnico-tattici e atletici, è necessario tener presente anche degli aspetti sociali, relazionali, che mettano al centro non solo l’atleta ma la persona. Non possiamo non prendere in considerazione il contesto in cui vive e cresce il calciatore, e in cui deve migliorare il calciatore quindi tutte le persone che stanno attorno rappresentano un elemento importante. Quindi l’approccio deve essere sistemico, olistico, e tutti devono dare il proprio contributo, mi piace pensare che il team deve ragionare come una band jazz”.
E poi, la sua opinione sul settore giovanile: “Spesso sento dire che in italia mancano i talenti. Non sono d’accordo; io credo invece che il settore giovanile abbia tanti talenti e la recente vittoria dell’under 17 agli europei lo ha dimostrato. Quello che manca, piuttosto, è la capacità o la volontà di lavorare come sistema all’interno di una società e di sviluppare e dare valore al capitale umano all’interno di una società, sia in termini di professionalità che di talento giovanile. Anche perché non è possibile pensare di coltivare un talento senza dei professionisti che sappiano davvero seguirli al meglio. Per cui quando parliamo di talenti io penso non soltanto a chi deve scendere in campo ma anche a chi sta dietro le quinte…”.
E prosegue: “Individuare un talento non è certo cosa facile. Bisogna osservare sicuramente il rapporto del giocatore con la palla, la sua padronanza con l’attrezzo…ma nello stesso tempo, bisogna valutare tante cose per capire se ci sono tutti quegli aspetti che possono rendere grande quel giocatore, come ad esempio la capacità di sapersi relazionare con gli altri nel campo, di saper fare le scelte giuste, saper scegliere quale gesto fare in determinate circostanze”.
Il calcio “eretico” di Filippo Galli porta con sé un’idea olistica di questo sport, una concezione a tutto tondo dell’atleta e dell’essere umano, considerato nella sua interezza e nelle sue capacità tecnico-tattiche, atletiche, ma anche relazionali ed emotive. “Un calciatore, e secondo me un atleta in genere – ci racconta – non è la somma di tante qualità, ma il risultato di come tutte queste qualità interagiscono tra di loro”.
Lui lo sa, la sua carriera ce lo ha dimostrato, che il bel gioco è parte integrante di un processo che vede ogni talento protagonista della propria storia, costruttore proattivo della propria carriera.
E in questo processo di crescita l’invito di Galli è di abbandonare un concetto individualista a cui purtroppo oggi siamo, e molti giovani sono, sottoposti, per abbracciare un concetto più esteso di squadra, in cui ognuno deve poter contare ed essere supporto per l’altro, perché la crescita di ognuno, in qualche modo, dipende proprio da questo scambio, da questa reciprocità, “perché – ci ricorda Filippo Galli riprendendo ancora una volta le parole del maestro Marcelo Bielsa – una squadra è tanto più forte quando più comprende l’importanza di saper difendere il suo anello più debole”.