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 Calcio, sei ingiusto! Sergio Aguero appende le scarpe al chiodo

Calcio, sei ingiusto! Sergio Aguero appende le scarpe al chiodo

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A cura di Riccardo Ghezzi

L’addio ai campi di gioco di Sergio Aguero non può certo essere considerato inaspettato, eppure l’amarezza aumenta quando un atleta è obbligato ad abbandonare l’attività agonistica a causa di problemi di salute. Diciamo la verità: non siamo preparati e non ce lo aspettiamo. Siamo abituati a vedere questi gladiatori correre, lottare, darsele di santa ragione e prendersele. Forse nel calcio il mito del superomismo, che pure è duro a morire negli stereotipi (su tutti l’ormai immortale frase “non è uno sport per femminucce” che ha praticamente escluso per decenni il calcio femminile dall’Olimpo degli sport), è progressivamente tramontato a suon di simulazioni e tuffi accentuati ad ogni contatto, ma noi comuni mortali (o per meglio dire, spettatori da poltrona) proprio non riteniamo possibile che un calciatore possa abdicare per motivi di salute non imputabili a gravi infortuni di gioco. Non così per Sergio Leonel Aguero Del Castillo, altrimenti detto El Kun perché a detta del nonno assomigliava da bambino al piccolo cavernicolo Kum Kum di un anime giapponese.
Un campione da oltre 400 gol in carriera ad oggi – con le sue 42 reti in 101 presenze – terzo marcatore della storia della nazionale argentina alle spalle di due mostri sacri come Batistuta e Messi. La consacrazione del Kun è stata in Premier League: cinque campionati vinti su dieci disputati con il Manchester City (il primo, appena sbarcato in Regno Unito, stagione 2011/12, deciso proprio da un suo gol al 94’ all’ultima giornata che tanto ha fatto gioire l’allora tecnico dei Citizens Roberto Mancini), capocannoniere con 26 gol in 33 presenze nel 2014/15, finora miglior goleador straniero (e quarto assoluto) nella storia della massima serie calcistica inglese con i suoi 184 timbri.
Poi qualcosa si è spezzato dopo il suo addio al Manchester City avvenuto a 33 anni. Ingaggiato a parametro zero dal Barcellona, abbiamo sognato di vederlo in coppia con Messi come in nazionale, ed invece è stata subito staffetta: arrivato El Kun, la Pulce si è subito trasferita a Parigi. Prime avvisaglie di una favola che stava giungendo al termine.
Poche le presenze di Aguero in maglia blaugrana, prima del malore in campo e del grande spavento dello scorso ottobre. Avevamo ancora negli occhi e nella mente le immagini di Eriksen, crollato a terra da solo durante la prima partita della Danimarca agli Europei. La paura, infine il sollievo.
Per gli appassionati del calcio “bello” non ci voleva un’altra batosta, meno che mai in un periodo come l’attuale in cui è facile abbandonarsi all’irrazionalità. Inevitabili i riferimenti alla pandemia, ancor più insistenti le speculazioni sui vaccini. Strumentalizzazioni, fobie, in buona o cattiva fede, a spese di un atleta che nel frattempo faceva sfoggio di umanità annunciando in lacrime l’addio al calcio giocato.
I malori, anche mortali, dei calciatori non sono certo inconsueti. Li abbiamo vissuti pure in diretta: da Renato Curi a Christian Eriksen, passando per Lionello Manfredonia, Marc-Vivien Foé, Miklòs Fehér, Antonio Puerta, Davide Astori e tanti, troppi altri. Sono storie che fanno male e che vorremmo scacciare dalla mente. Il calcio, che per tanti appassionati rappresenta il principale rifugio dalla quotidianità, può scoprirsi tragico, ingiusto, soprattutto umano esattamente come ciò che vorremmo allontanare.
Ci meritavamo la coppia Aguero-Messi, invece dobbiamo leggere il post su Facebook della “Pulce” che esterna la sua amarezza per l’annuncio in lacrime del Kun. Un’ingiustizia, diciamolo pure. Avevamo bisogno di altro. Forse dobbiamo solo accettare che il calcio sia esattamente come la vita quotidiana. E gioire del fatto che Aguero, come Eriksen, siano vivi.

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