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Il personaggio
 Kobe Bryant e niente altro

Kobe Bryant e niente altro

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Black Mamba. Era chiamato così Kobe Bryant, uno dei più forti e popolari giocatori di basket di tutti i tempi, per venti stagioni guardia dei Los Angeles Lakers, con cui ha conquistato 5 titoli nella NBA. Agile e pericoloso per gli avversari come il famoso serpente, Kobe era il gigante del Basket mondiale, paragonato soltanto a campioni come Michael Jordan, LeBron James e pochissimi altri.
La notizia dell’elicottero su cui viaggiava con la figlia Gianna Maria, precipitato a Calabasas, a nord ovest di Los Angeles, causandone la morte, arriva come un vento gelido che ammutolisce tutto il mondo dello sport e gli appassionati della pallacanestro, che con le gesta atletiche di Kobe, avevano sognato.

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Fisico imponente e statuario, agilità senza pari e tecnica eccezionale, in grado di andare a segno nel 99% dei casi. Era forse per questo che lui stesso si era dato l’appellativo, ed era per tutti, “Black Mamba”, amato e apprezzato per le sue spettacolari performance che hanno dominato dal 1999 e il 2009, l’NBA.

Diciotto volte selezionato all’All Star Game, per per due volte miglior giocatore delle finali e, nel 2008 del campionato e, nello stesso anno e poi nel 2012, vincitore della medaglia d’oro alle Olimpiadi.
Una carriera lastricata di successi incredibili, lui che, figlio d’arte (sua padre Joe Bryant è un ex cestista e allenatore) , la pallacanestro ce l’aveva praticamente nel sangue. Lui che aveva iniziato a muovere i suoi primi passi proprio in Italia, tra Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia, prima di tornare negli Stati Uniti per il liceo. Lui che amava l’Italia e provava un’ammirazione particolare per il Milan degli anni di Marco Van Basten, lui che fu scelto dagli Charlotte Hornets, e poi ceduto ai Lakers dove, con Shaquille O’Neal, già centro degli Orlando Magic, avrebbe formato una delle coppie più famose della storia del basket.
Un legame sportivo, il loro, leggendario, consolidato sotto la guida di Phil Jackson, storico allenatore dei Chicago Bulls di Michael Jordan.

Con i suoi celebri tiri in sospensione e le sue famose schiacciate, Kobe ha stregato tutti nei suoi 20 anni di carriera con i gialloviola. Lo sport era per lui un amore, spesso una straordinaria ossessione.
Si racconta che alla domanda su dove si trovasse l’11 settembre, lui rispondesse: «Ero in palestra e mi stavo allenando». Questa era la Mamba mentality: «Fare quello che ti piace di più. Farlo al massimo. Farlo cercando di essere il migliore di tutti, sempre. E seguire tutte le strade lecite per diventarlo. Quando fai la cosa che ami di più, l’ossessione è naturale».

Una sicurezza di sé che lo aveva portato a paragonarsi al famoso e implacabile rettile nero. Soprattutto una sicurezza costruita con tanti errori. Perché non diventi Kobe Bryant dal giorno alla notte. Diventi Kobe Bryant se sbagli, se riprovi, se insisti, se non ti arrendi mai. E soprattutto se non hai paura: “Fear is for others” è la scritta che campeggia su una sua t-shirt, a sottolineare una grinta e una tenacia che fanno di un semplice atleta un campione.
“Quando perdi e sei sicuro di averci messo il cuore, hai già vinto…lo dice uno a cui perdere non piace affatto…” erano le sue parole e ancora “È difficile da descrivere. Ti senti improvvisamente pieno di fiducia in te stesso, ti senti forte sulle gambe, con una buona visione del canestro e inizi a segnare. Dopo un po’ ti convinci che qualsiasi tiro sia destinato al canestro. Anche quelli che sbagli”.

Capisci cosa significa la parola “fuoriclasse” soltanto vedendo i suoi tiri a canestro, i suoi rocamboleschi volteggi per seminare gli avversari, impotenti di fronte alla velocità, alla forza schiacciante, all’imponenza di Black Mamba. Devi osservare l’azione al rallenty per capire cosa sta accadendo sul campo da gioco, perchè è davvero un attimo, e lui è già andato a segno.
Un attimo, appunto…
Dicono che il Basket sia l’unico vero sport che tende al cielo. Oggi, occhi e cuore, sono proprio puntati lassù.