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Il Sumo. Tramonta lo sport del Sol Levante

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tramonta il sumo in giappone Sportstar Magazine

Il Sumo, uno sport, un modo di pensare. Quello giapponese, che in termini di cultura e di tradizione ha tanto da insegnare al mondo intero. Lo sport nazionale
del Giappone, che non è semplicemente una lotta, ma un elogio a un’attività antica che è parte integrante della storia di un popolo, riscoperta dell’essenza dell’Impero del “Sol Levante”, da qualche tempo, è in declino.
Colpa di una società sempre più rivolta al futuro, forse, e che vorrebbe gli atleti in una certa forma, che non si avvicina a quella del tradizionale lottatore di Sumo.
Più “televisivo”, invece, sempre in Oriente, risulta essere il baseball. Disciplina molto seguita dai giovani, i quali non sembrerebbero propensi a lasciare la scuola a 15 anni per frequentare un collegio per futuri lottatori di Sumo. Una “scuola” in cui tutto è regolamentato, dalla dieta al taglio dei capelli.
Perché il Sumo è sì uno sport ma soprattutto una disciplina antica. Il Sumo mantiene in vita le regole codificate nei secoli: il fatto che si svolga solo nei mesi
dispari, di essere praticato esclusivamente da uomini, l’utilizzo dei mawashi (i perizoma ricavati da un lungo nastro) e l’oicho, ovvero l’acconciatura dei lottatori.
Poi ancora il dohyo, il ring in paglia sollevato da terra, e il sistema dei gradi nella preparazione dei lottatori (irikishi), tra i quali spicca la Yokozuna, a cui appartiene il lottatore migliore.

E legata al Sumo c’è tutta una serie di rituali e una rigida etichetta, tanto affascinante quanto antica. Non è un caso che al migliore lottatore non sia concesso retrocedere, quanto piuttosto, qualora ritenesse di non essere più in grado di lottare, di ritirarsi, cedendo il posto agli altri aspiranti rikishi.
I combattenti seguono un apposito rituale di presentazione al pubblico, chiamato Makuuchi dohyohiri: salgono sul dohyo, vestiti di un grembiule – il kenshomawashi – con i colori e i simboliche li rappresentano, ed eseguono un cerimoniale con movimenti molto particolari delle braccia, che riproducono gesti scaramantici. Dopo il posizionamento sul dohyo, c’è l’avvio dei combattimenti, che avviene però solo dopo l’ingresso dello Yokozuna e lo svolgimento del rituale propiziatorio col lancio del sale.

Affascinante anche lo Shiko, vale a dire il movimento eseguito dai lottatori con la gamba che viene prima alzata e poi portata a terra, sbattendo il piede, anche
questo derivante da un antico rito scaramantico che serviva per scacciare gli spiriti cattivi dal dohyo. Infine la danza dell’orco, a fine competizione, svolta da un giovane rikishi, a simboleggiare la vittoria e la forza. Se non sono ancora certi i dati che descrivono la crisi di uno sport tanto complesso e legato alla tradizione, è pur vero che il Sumo non gode più dello splendore di un tempo.

Eppure basta osservare la gestualità dei rikishi, soffermarsi sulla determinazione dei loro occhi e immaginare di essere in quel “cerchio di paglia” per comprendere come questa lotta, nata secoli fa, porti con sé un respiro antico, una dignitosa storia di un popolo straordinario, un’identità che grazie allo sport può e deve conservarsi.